sabato 4 febbraio 2017

Ho fatto un sogno, anzi un incubo.



Lo scorso anno, mentre stavo elaborando la trama di “Welcome to Insomnia”, un forte dubbio continuava a risuonare nella mia mente: ha senso provare a scrivere un romanzo gotico, quasi horror, con protagonisti i fantasmi, ma che abbia nello stesso tempo l’ambizione di proporre anche importanti temi sociali, psicologici e ambientali? Certo, ero consapevole che questo tipo di letteratura ha sempre un sotto testo, una metafora, un riferimento alla realtà, nascosto, ma non troppo, tra le pieghe della fantasia. Le tematiche che avevo in mente erano nello stesso tempo molto attuali ma comunque difficili da trattare in un romanzo di questo genere, rivolto soprattutto ai giovani. Per diversi giorni il dubbio non mi ha abbandonato, fino a quando, quasi per caso, ho ritrovato una frase che tempo addietro mi ero appuntato sul mio “taccuino delle idee importanti”.
 

La frase era la seguente: “Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e vide che non c’era nessuno.” Questo è uno dei più begli aforismi di Martin Luther King tratto dal libro “La forza di amare” del 1963. La prima volta che ho letto questo testo, correvano i primi anni Novanta, io ero un giovane studente universitario e stavo facendo il percorso che mi avrebbe portato a seguire la filosofia della non violenza, ad entrare a far parte di movimenti ecologisti, diventare attivista del partito dei Verdi e infine anche vegetariano. Avevo letto i discorsi sulla convivenza tra le religioni di Gandhi, approfondito il pensiero del mite combattente Alex Langer, conosciuto la liberazione animale di Peter Singer, ed ero rimasto affascinato dalla filosofia di Martin Luther King sulla lotta nonviolenta per il raggiungimento dei diritti civili degli afroamericani. Forse fu proprio la lettura di questo libro (a questo link trovate una interessantissima recensione e una biografia di King) a convincermi definitivamente a far domanda per diventare obiettore di coscienza quando ancora non era così semplice convincere il ministero della difesa che si poteva “servire la propria patria” senza imparare a sparare nella pancia a nessuno, come dice la mia grande amica partigiana Lidia Menapace.

Sono passati più di vent’anni da quel momento di grandi passioni e ideali giovanili e tante cose sono cambiate. Ad esempio non sono più vegetariano, purtroppo. Poi ci sono state disillusioni e dolorosi bagni di realtà, ma ancora oggi, nel mio piccolo e non senza contraddizioni, cerco di portare avanti queste idee che sono entrate a far parte del mio personale bagaglio culturale. Allora ho pensato che la paura poteva davvero essere un grande scenario per parlare di argomenti importanti e dibattuti. Me ne sono convinto ancora di più quando l’estate scorsa ho sentito in televisione uno degli psicologi che sono andati a parlare con i bambini di Amatrice dopo il terremoto. Lo psicologo diceva che molti bambini esprimevano il loro disagio nei disegni, ma a parole facevano fatica ad ammettere di avere paura, si vergognavano di dirlo di fronte ai loro compagni. Lo psicologo li aiutava a capire che invece ammettere di avere paura era il primo passo per riuscire a conviverci e rielaborarla. Ecco perché ho deciso che la frase simbolo del mio romanzo sarebbe stata: “Ci vuole coraggio per avere paura”.
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

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