sabato 28 gennaio 2017

Un lupo mannaro e un fantasma...con la coppola!



“Si udì un grido, un grido supremo, ella vacillò, afferrandosi a quella mano che l’avea perduta per aiutarla e cadde con lui nell’abisso. A Trezza si dice che nelle notti di temporale si odano di nuovo dei gemiti, e si vedano dei fantasmi tra le rovine del castello.” Subito Emma alzò la mano: “Ma Trezza è Aci Trezza? Quella dei lupini di padron ? Ntoni?” (“Welcome to Insomnia” p.48)

Sì Emma, proprio quella e il narratore di questa insolita novella, “Le storie del Castello di Trezza”, è proprio il verista Giovanni Verga, insolito vero? Anche io ho pensato la stessa cosa la prima volta che ho scoperto che oltre alla lugubre Transilvania e alla nebbiosa Scozia anche la nostra solare Sicilia fosse popolata di fantasmi letterari. Non ci credete? Allora gustatevi quest’altro passo, non inserito nel mio romanzo ma  assolutamente degno di nota: “Dentro…chiuditi dentro…bene. Non ti spaventare…Se batto, se scuoto la porta e la graffio e grido…non ti spaventare…non aprire…Niente…va’! va’! “Ma che avete?” gli gridò Sidora, raccapricciata. Bata mugolò di nuovo, si scrollò tutto per un possente sussulto convulsivo, che parve gli moltiplicasse le membra; poi, col guizzo d’un braccio indicò il cielo e urlò: “La luna!”

 Sì, avete capito bene, si tratta proprio di un lupo mannaro, ma la storia non è ambientata a New York o a Londra, ma a Girgenti. “Male di luna” è una novella di Luigi Pirandello che, tra una tragedia e un romanzo, si è dilettato anche con il filone horror. Sempre a suo modo, visto che, così come nel racconto di Verga, dietro alle sottili maschere di questi fantasmi, stavano ben altri temi, cari ai nostri narratori: la verità inconoscibile, l’inganno delle apparenze, la difficoltà di convivere con i pregiudizi. Temi ancora attuali che mi avevano molto affascinato quando, ormai quasi vent’anni fa, mi accingevo ad affrontare l’orale del concorso per provare a diventare professore entrando dalla porta principale, senza neppure un giorno di supplenza. Lo scritto era andato molto bene e dunque, ammesso che si potesse giudicare la bravura di un insegnante da come scrive un tema, avevo molte possibilità di passare l’esame. Ricordo che per l’orale, oltre al classico  e tradizionale programma di storia della letteratura, si poteva portare un breve elenco di argomenti scelti dal candidato a seconda delle sue passioni e inclinazioni. Che bello! Per la prima volta mi sembrava che, in un importante momento della propria vita professionale si potesse dimostrare le proprie qualità in modo originale e personale. Io dunque inserii nella lista dei miei argomenti temi come le distopie nella fantascienza ( “1984” di Orwell, “Fahrehneit 451” di  Bradbury…) gli illuministi italiani e il dibattito sulla tortura e pena di morte (Verri “Osservazioni sulla tortura”, Beccaria “Dei delitti e delle pene”) ma soprattutto l’elenco completo degli autori italiani che avevano trattato il tema della paura nella loro produzione: Capuana con il suo “Il vampiro”, lo scapigliato Igino Ugo Tarchetti con “Le leggende del castello nero”, fino al mitico Dino Buzzati di “Eppure battono alla porta”, oltre ai succitati Verga e Pirandello. Ricordo come fosse ieri che la commissione esaminò il mio elenco di argomenti con facce che andavano dallo scettico al sarcastico, guardandomi sottecchi come una bestia rara o forse come qualcuno che era andato lì pensando di prenderli in castagna. Così, in men che non si dica, chiusero e  ripiegarono ben bene il mio foglio delle passioni e mi proposero argomenti stimolanti quali: Il candidato ci parli de “Il fanciullino” di Pascoli in rapporto con la sua travagliata vita di affetti familiari. Niente da dire, era assolutamente nelle loro facoltà. L’orale andò bene lo stesso, mi ero preparato per tutta l’estate passando i pomeriggi di agosto appollaiato con i miei libri su uno solitario scoglio dell’isola d’Elba, ma un filo di delusione si leggeva nei miei occhi quando uscii dall’aula del concorso. Dovevano passare quasi vent’anni perché io potessi tornare a raccontare a qualcuno la mia passione per la paura e le sue importanti implicazioni psicologiche. Grazie a tutti voi che leggete questi post e che continuate a dirmi che “Welcome to Insomnia” vi sta appassionando e tenendo con il fiato sospeso, siete la mia piccola grande rivincita J
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

sabato 21 gennaio 2017

Ciak, si gira: gli effetti speciali di Welcome to Insomnia



Qualcuno a me molto caro, qualche mese prima dell’uscita di “Welcome to Insomnia”, leggendo la bozza del romanzo, mi disse che questo era il più cinematografico dei miei libri (grazie Teo). Nel senso che mentre lo leggeva ne immaginava le sequenze come fossero quelle di un vero e proprio lungometraggio. Questo commento mi ha fatto molto piacere perché era proprio l’effetto che io avevo immaginato quando ne ho concepito la trama. Quindi se Paolo Sorrentino o Gabriele Salvatores dovessero leggere questo post sappiano che, volendo, la sceneggiatura è già bella e pronta. Tornando con i piedi per terra, qui di seguito vi svelo i film che hanno maggiormente ispirato questo ambizioso tentativo di scrivere una storia di fantasmi, per ragazzi di tutte le età, in pieno ventunesimo secolo. I titoli che citerò vi stupiranno alquanto perché non annovererò nessuno dei capolavori del genere horror che tutti avete in mente in questo momento. Cioè, voglio essere chiaro, “Shining”, “The others”, “The ring”, “Il sesto senso” e compagnia briscola li visti, rivisti e adorati, anzi li ho sognati più volte nei miei peggiori incubi, ma nella primavera-estate del 2016, nel momento in cui la trama del romanzo si stava lentamente formando nella mia mente, sono state altre le pellicole che mi hanno costretto a prendere in mano la penna e annotare sul mio personale bloc-notes una serie di spunti, atmosfere, immagini e d emozioni che poi i più attenti tra voi ritroveranno nel libro.

Dunque cominciamo con il primo in ordine cronologico: “L’alba del pianeta delle scimmie” (R. Wyatt 2011) l’ho visto per la prima volta lo scorso anno in tv. Devo confessarvi che ero piuttosto scettico su questa ennesima ripresa cinematografica del romanzo “Il pianeta delle scimmie” di Pierre Boulle del 1963. Invece, minuto dopo minuto, ho dovuto ricredermi. Alla fine ero davvero preso dalla trama e dal ritmo che il regista è riuscito a conferire al suo film. Soprattutto mi è piaciuta molto l’idea di dividerlo in due parti molto diverse, come i due atti di una tragedia: un primo tempo più lento e preparatorio, dove la storia crea lentamente le emozioni, i legami e le relazioni tra i protagonisti e un secondo in cui si scatena l’azione, il ritmo cresce e ti tiene incollato allo schermo fino alla fine. Questo ingrediente ho cercato di mettere in “Welcome to Insomia” per ricreare quella atmosfera che mi ha rapito.

Il secondo film l’ho preso invece in prestito in biblioteca. Si tratta di “Silent Hill” (Chistophe Gans 2006). Mi aveva incuriosito soprattutto il fatto che il soggetto fosse tratto da un celebre videogioco, cosa che in realtà si rivela forse il suo punto più debole, ma soprattutto il fatto che tutta l’azione si svolgesse in questa misteriosa città sulla collina, luogo ai confini della realtà, dove a causa di un fatto tragico accaduto anni prima, si scatenerà l’inferno sulla terra. Il film mi è piaciuto soprattutto nella sua prima parte dove l’atmosfera è molto cupa, c’è una nebbia quasi impenetrabile e le protagoniste, una mamma e la sua piccola figlia, si trovano a contatto con uno scenario dove realtà e incubo sono in bilico su una sottilissima linea di confine. Non voglio rovinarvi la sorpresa nel caso in cui voleste guardarlo, ma la seconda parte, a mio parere, perde molto di quel fascino e infatti non è entrata a far parte del mio romanzo. Ma le atmosfere di una città fantasma dove sei a contatto con le tue paure più profonde erano  esattamente i colori che stavo cercando per dipingere alcune scene di “Welcome to Insomnia”.

Il terzo film in realtà è una intera serie televisiva. Sto parlando di “Ghost Whisperer” ( J. Gray 2005-2010) cinque stagioni di episodi dove la protagonista è Melinda Gordon, una giovane e avvenente donna che ha la sfortuna di poter comunicare con i fantasmi. Anche qui devo ammettere che ero piuttosto prevenuto. Non sono per nulla un fan delle serie televisive e i primi episodi mi sembravano molto melensi e dalla trama piuttosto prevedibile. Nonostante tutto però, ogni sera, immancabilmente, sentivo il bisogno di vederne una puntata. Non so per quale motivo, ma sapevo che la stavano trasmettendo e immancabilmente mi incuriosiva vedere cosa avrebbero inventato quella sera per spedire all’altro mondo un fantasma intrappolato nel limbo tra cielo e terra. Era diventata una specie di droga delle diciannove e trenta. Dovevo scoprire dove i creatori di queste serie inserivano le sostanze psicotrope che ti costringono ad affezionarti ad un personaggio o ad una storia, così le ho viste e studiate tutte, o quasi e ho cercato di carpirne il segreto. Spero di esserci riuscito.

Gli ultimi due film invece sono proprio tra i miei preferiti in assoluto e li cito perché li ho visti talmente tante volte che una parte di loro è sicuramente entrata a far parte dei files del mio cervello che partono in automatico quando penso ad una storia di avventura con una certa dose di suspense. Il primo l’ho visto ventun volte, una visione per ognuno degli esami superati durante l’università. Era una specie di rituale, la sera dopo l’esame mi piaceva riguardare “1997 fuga da New York” (J. Carpenter 1982). Non è un horror, è fantascienza, ma se non lo avete visto, guardatelo: non c’è una sola scena, una sola battuta che cambierei e l’atmosfera cupa e paurosa di quella New York apocalittica, ma con ancora le Torri gemelle sullo sfondo, mi è servita per la mia personale versione della città di Insomnia.
 

Last but not least, il film che non ha influenzato direttamente il romanzo, ma il video della canzone che ne fa da colonna sonora, l’omonima “Welcome to Insomnia”. Sto parlando di “Warriors, i guerrieri della notte” (W.Hill 1979) Quando, girando le riprese del video, camminavo sotto i portici di Consonno indossando il giubbetto di pelle senza maniche, guardandomi in giro come se cercassi la strada del ritorno per la spiaggia e le giostre abbandonate di Coney Island, mi sembrava di sentire risuonare nella testa il famoso ritornello: “Warriors…come out to play?”
 

Ok, avrei ancora tante cose da raccontarvi, ma vi devo lasciare: mi squilla il telefono. “Ciao Quentin, no, non ho ancora ceduto i diritti per la sceneggiatura del mio romanzo, aspettavo la tua proposta!” Come si fa a dir di no a Tarantino?

 
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

domenica 15 gennaio 2017

Magritte e il lato oscuro che c'è in tutti noi



Il quadro che vi ho mostrato è di René Magritte e si intitola -Le barbare-, è stato dipinto nel 1938, si trova al Baltimore Museum of Art, nel Maryland e di esso abbiamo solo la foto perché l’originale è andato misteriosamente perduto.” L’idea di inserire in “Welcome to Insomnia” questo grande artista surrealista mi è venuta durante lo scorso anno scolastico mentre osservavo alcuni autoritratti commissionati agli alunni dalla mia collega di Arte ed immagine, esposti in mostra nell’atrio della nostra scuola. I ragazzi si erano ispirati infatti proprio al quadro citato dove: “L’artista…ha voluto riprodurre la sua faccia nascosta, il suo lato oscuro e non presentabile, qualcuno di cui ha paura ma dal quale è anche fortemente attratto. L’uomo nello specchio è infatti Fantomas…” ("Welcome to Insomnia” pag. 54)

 
 Già, Fantomas, il ladro e assassino, suggestivo personaggio romanzesco nato nel 1911 dalla fantasia di Marcel Allain e Pierre Souvestre (e mi scuso per il refuso, grazie Iuri) di cui Magritte era un grande appassionato fin dall’infanzia. I risultati dei disegni esposti in mostra erano davvero affascinanti! I volti dei ragazzi erano ancora riconoscibili, ma erano completamente trasfigurati, con ragni disegnati al posto dei capelli e baluginanti ossa di teschi che comparivano sotto la pelle.  La mia collega mi diceva che questo lavoro era piaciuto molto e aveva sbloccato la fantasia anche di molti alunni che normalmente si rifiutavano di prendere in mano la matita perché si dicevano incapaci e poco portati per l’arte, sorprendente, no? Mi diceva che non era certo suo compito andare ad investigare l’inconscio che veniva fuori in queste immagini, ma che uno psicologo avrebbe avuto pane per i suoi denti. La biografia di Magritte d’altronde è ricca di spunti inquietanti e la sua arte è spesso lo specchio deformato con cui provava a descrivere il mondo: “Perché la realtà non è mai come la si vede, la verità è soprattutto immaginazione.”  Il tema del lato oscuro che c’è dentro di noi mi ha sempre affascinato, forse ancora da quando, adolescente, vidi in tv lo sceneggiato del 1969 di Giorgio Albertatazzi, liberamente tratto dal romanzo di  Robert Louis Stevenson “Dr Jekyll and Mr Hyde”.
 


Quell’immagine in bianco e nero dove il dottor Jekyll scompare dietro uno specchio e riappare con il ghigno malefico di Mr Hyde, me la ricordo, e mi fa rabbrividire,ancora oggi, a testimonianza che le paure della nostra infanzia e adolescenza ce le portiamo dentro anche da adulti. Forse è per questo motivo che il professor Marcus Stranaluna, protagonista e antagonista del romanzo è, per certi versi, un mio oscuro e inquietante alter ego. Non è certo un segreto che l’abbigliamento del nostro eroe sia assolutamente ispirato al mio di quando vado ai concerti dei miei artisti preferiti, ma c’è qualcosa di più. Ho voluto trasfigurare in lui alcune delle mie inquietudini più nascoste, esorcizzare alcune paure, dare vita a quella lunga ombra nera che proietto sui muri quando cammino veloce alla luce del tramonto. Certo, c’è molto di romanzesco nella figura del misterioso professor Marcus Stranaluna: chi potrebbe davvero pensare che io ascolti i dischi in vinile con un giradischi portatile di plastica rossa? O che possa andare in giro con una moto dei primi anni ottanta tenuta faticosamente insieme dal nastro adesivo?  Ma se invece fosse tutto vero? Se vi avessi sempre ingannati tutti e fossi davvero un fantasma, un’ombra diafana e inafferrabile, condannata ad una non-vita, in bilico sul baratro, pronto a condurvi in quel luogo oscuro della vostra mente che è la città fantasma di Insomnia? E allora, Welcome to Insomnia, stiamo aspettando te!
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

sabato 7 gennaio 2017

Seneca: il filosofo imperfetto



“Vi voglio salutare con le parole di Lucio Anneo Seneca, un grande filosofo latino dell’antichità, tenetele a mente quando sarete a Insomnia: Sicuri dunque e a testa alta, in qualsiasi luogo ci toccherà di andare, avviamoci con passo intrepido, misuriamo ogni angolo di terra, quale esso sia: entro i confini del mondo non vi può essere esilio di sorta. Nulla infatti che si trovi in questo mondo è estraneo all’uomo.” Queste le parole con le quali nel mio romanzo il professor Marcus Stranaluna si congeda dai suoi ragazzi, allontanato dalla scuola per la sua diversità di abbigliamento, di stile di insegnamento, di punto di vista da cui guardare le cose: “Un tipo particolare e stravagante certo, ma, visto da vicino chi può dirsi del tutto normale?” La scelta di citare Seneca, che tornerà in mente ai ragazzi nel momento più cruciale della storia, quello del confronto con le loro paure, è stata devo ammettere, casualmente voluta. Questo strano ossimoro è giustificato dal fatto che Seneca è uno dei miei filosofi preferiti: il “De vita beata” (Sulla felicità) lo acquistai da giovane universitario poco più che ventenne nella famosa collana dei Tascabili economici Newton: 100 pagine per mille lire, e ne sottolineai con un pastello rosso alcuni brani che mi sarebbero tornati in mente in successivi momenti delle mia vita. Ma la frase citata nel romanzo l’ho letta casualmente quest’estate, durante un’istruttiva seduta in bagno, su un’agenda, quella di Bellavite editore, che riportava la recensione del mio precedente libro “Piccola staffetta”. Seneca si riferiva al suo esilio personale, in Corsica, al quale era stato condannato per presunto adulterio dall’imperatore Claudio, ma calzava a pennello anche per la situazione del mio romanzo: i ragazzi sarebbero andati in gita nella città fantasma di Insomnia, un luogo estremo, ai confini del mondo conosciuto, ma contemporaneamente si sarebbero immersi nelle loro più profonde paure. Il professore, combattuto e straziato dal dubbio come il filosofo che cita, dà loro un ultimo consiglio: siate cittadini del mondo, non fermatevi di fronte alle difficoltà e seguite la vostra sete di conoscenza, perché nulla è estraneo all’essere umano, anche quello che umano non è più, come i fantasmi. 
 Seneca, ritratto da Rubens
 
 Seneca mi ha sempre affascinato perché, come dico nel titolo, è un filosofo imperfetto, un uomo immerso nel suo tempo, un tempo difficile e contrastato, il primo secolo d.C., quando a Roma regnano gli imperatori della crisi: Caligola, Claudio e soprattutto Nerone, di cui sarà precettore e in seguito consigliere con tutte le contraddizioni e i compromessi che questo comporta. Un filosofo che in età giovanile è vegetariano, ma poi cambia idea e alimentazione quando rischia di essere sospettato di eresia, un moralista che rimproverava il lusso ma che possedeva cinquecento tripodi con piedi d’avorio spiegando che lui possedeva le ricchezze ma non ne era posseduto. Un uomo molto autocritico e consapevole dei suoi difetti perché amava definirsi un oceano di difetti, ma anche uno dei filosofi più amati da grandi pensatori e credenti come Sant’Agostino e Dante. Un filosofo stoico che combatte l’epicureismo, ma che comprende qual è il vero messaggio di Epicuro e a quale piacere si riferisca nella sua ricerca. Dopo avere avuto una vita movimentata e appassionata, Seneca se la toglie tagliandosi le vene con uno stiletto, dopo essere stato accusato di congiurare proprio contro Nerone. Un filosofo imperfetto dunque, come imperfetto è l’essere umano, sempre teso alla ricerca delle felicità, che non trova mai perché è anche tanto fragile e contraddittorio. Vi lascio in compagnia delle sue frasi, tratte proprio dal “De vita beata”  asserendo insieme a lui che la vera saggezza sta nella pure contemplazione e che, forse, la vera felicità consiste nel non aver bisogno della felicità.

Ma tu mi dirai, coltivi la virtù unicamente perché speri di ricavarne un piacere. Ebbene, tanto per cominciare, il fatto che la virtù procuri un piacere non significa che la si cerchi per questo: il piacere è solo un’aggiunta, non la meta del nostro sforzo.

Non pretendete dunque che io sia uguale a i migliori, chiedetemi solo di essere migliore dei cattivi: è già un passo avanti se riesco a togliere ogni giorno qualcosa ai miei difetti e a biasimare i miei errori.

Il saggio non si duole né si disprezza se è di bassa statura, ma al tempo stesso ritiene preferibile, anche per sé, essere alti; così se è magro o privo di un occhio non dà importanza alla cosa e tuttavia vorrebbe un corpo robusto (…) allo stesso modo accetterà una cattiva salute, ma non per questo dovrà negarsi il desiderio di tornare in perfetta forma.

Felice è dunque quella vita che si accorda con la sua propria natura (…) amante di tutto ciò che adorna la vita, ma con distacco, disposta a servirsi dei doni della fortuna ma senza farsene schiava.

Volete sapere come si conciliano le massime di un filosofo con le trame di un romanzo gotico? Leggete “Welcome to Insomnia” e non avrete le risposte, ma nuovi interrogativi  per la vostra personale ricerca della felicità.

 
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer