Il mio incondizionato amore per i
fumetti nasce già da quando ero piccolo e leggevo “Topolino” che fu anche la
mia prima fonte di guadagno quando, in estate sul viale nella pineta di Ravenna
che portava alla spiaggia del campeggio, vendevo i numeri già letti a metà
prezzo. Poi sono arrivati Tex e Zagor e il mio amore per la storia e la cultura
dei Nativi americani, gli Indiani. In
seguito, ai tempi dell’università, sul treno, divoravo gli orrori dei Dylan Dog
di Tiziano Sclavi. Poi è arrivato il momento della Marvel. Amavo soprattutto i personaggi minori: Namor sub-mariner, il
principe di Atlantide, ma soprattutto Ghost Rider e la sua moto fiammeggiante…
mi ricorda qualcosa, ma cosa?
Poi, dopo aver adorato il film maledetto con Brandon Lee, ho scoperto che “Il Corvo” era
tratto da un fumetto di James O’Barr. C’era il fantasma di un giovane
chitarrista, morto di morte violenta, che
era sospeso tra la terra e il cielo…ma, dove l’ho già sentita questa
storia?
La mia carriera di scrittore ha
addirittura rischiato di cominciare come sceneggiatore di fumetti. Era il 1998, da un anno collezionavo uno dei
più bei fumetti di sempre: “Magico Vento”, lo sciamano bianco, che univa i miei
due più grandi amori: la paura e il west.
Il primo numero si intitolava “Fort ghost”, dove il protagonista dai
lunghi capelli lotta contro un esercito di fantasmi in un luogo maledetto… ma
sì, ho già letto qualcosa di simile, ma dove?
Ma torniamo alla mia quasi
carriera nel mondo delle nuvole parlanti. A quei tempi lavoravo come educatore
in una cooperativa sociale e in un pomeriggio di primavera mi squilla il
cellulare, un Motorola preistorico del peso di un paio di chili. Dall’altra
parte Gianfranco Manfredi, l’autore di Magico Vento! Ha letto la mia lettera
dove mi definivo esperto di Nativi americani, avendoci scritto la mia tesi di
storia contemporanea e dove mi proponevo di affiancarlo nell’ideazione dei
soggetti del suo fumetto. Quel giorno ho toccato il cielo con un dito anche perché
lui stesso, in un paio di lettere che conservo gelosamente, mi suggeriva come
procedere per studiare le tecniche di scrittura dei fumetti: il protagonista,
la spalla, i cambi di scenario, le pagine in cui succedono i colpi di scena
etc. Nei mesi successivi ho vivisezionato decine e decine di fumetti, di sera, dopo il lavoro,
nella mia stanza, alla luce di una candela posta in cima ad un teschio (finto).
Poi ho provato a scrivere un soggetto e gliel’ho spedito. Lui ha lasciato
passare un po’ di tempo, poi mi ha risposto, dicendomi che aveva deciso di
continuare a scrivere Magico Vento da solo, non perché a me mancasse il
talento, ma perché la storia che aveva in mente era talmente complessa e
personale, che non poteva condividerla con nessuno. E così in effetti è stato
fino alla chiusura della serie. Io ci sono rimasto molto male, ovviamente, ma
ho apprezzato la sua sincerità e non lo ringrazierò mai abbastanza per quella
telefonata e per quelle lettere.
Forse non è stato un caso che,
dopo anni che non mi capitava più, nel mese di gennaio di quest’anno, due mesi
dopo l’uscita di “Welcome to Insomnia” ho acquistato un numero di Dylan Dog. Si
intitola: “Gli anni selvaggi”, a mio parere un piccolo capolavoro in una scena
di crisi di vendite e di idee per i fumetti.
Parla della gioventù di Dylan, di hard e punk rock, di suoni forti e tenebrosi, di amore e di
morte, di fantasmi che sono più adorati da morti che da vivi. Ma chissà dove le
ho già sentite queste storie? Forse è solo che le ho già vissute, quando ancora esistevo ;)
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